Il declassamento del lupo: una occasione persa per la politica

Il recente declassamento da parte dell' U.E. del lupo da specie "rigorosamente protetta" a "specie protetta" genera una maggiore flessibilità di gestione della specie.
Nè consegue che lo stato, le regioni e le provincie autonome, a discrezione, potranno effettuare prelievi di animali pericolosi o in eccesso.
L' efficacia di tale decisione appare a molti controversa dal punto di vista tecnico ma rassicurante per alcune categorie come gli agricoltori e gli allevatori, del Nord Italia in particolare.
Esultano molti esponenti politici per il raggiungimento di una condizione necessaria per tutelare l'agricoltura, l' allevamento ed il turismo montano nonché utile per la sicurezza degli abitanti.
Contrari ambientalisti ed animalisti:
a) per la possibilità di abbattimenti, in caso di conflitto con l' uomo e le sue attività;
b) per una probabile devastante reazione a catena con conseguenze letali per una specie estinta al nord 100 anni fa e ivi ancora in fase di ripopolamento.
La decisione, a mio avviso, lascia l' amaro in bocca per vari motivi.
1) L' equazione controllo numerico = riduzione dei danni di produzione non è così scontata. Anzi. Eliminare un branco da un territorio comporta l'arrivo di un altro branco. Il lupo instaura una corrispondenza biunivoca tra branchi e territori. C'è pertanto un limite naturale sia alla loro densità sia alla loro diffusione.
2) Le dichiarazioni di esponenti politici per cui il declassamento rappresenta un passo in avanti per la sicurezza e l'incolumità delle persone sono palesemente false. Senza sottovalutare la potenziale pericolosità degli animali, tali affermazioni sono smentite dall' esperienza del Parco Nazionale d' Abruzzo. Nell' area con maggiore concentrazione dei lupi, negli ultimi 100 anni non si è mai registrata una aggressione né agli abitanti né ai turisti. La paura associata a questo animale, risulta pertanto infondata.
3) Il declassamento è un' occasione persa per gli allevatori ed agricoltori delle regioni del nord. Essi potranno continuare a lasciare (inutilmente) le mucche e le pecore libere, senza cani di guardiania, rinunciando a quelle tecniche di allevamento più efficaci, anche se meno remunerative, che invece vengono praticate al centro-sud da sempre, dove il lupo non si è mai estinto e dove forme di incentivazione finanziaria vengono applicate con successo anche sociale e culturale.
Ma una volta smontate una ad una le motivazioni scientifiche della decisione, il motivo per cui ritengo questa decisione solo una scorciatoia politica ed opportunistica risiede nel metodo con cui è stata presa.
Questi temi dovrebbero costituire per la politica, in primis, una sfida da affrontare sul piano etico, tecnico, sociale e perfino religioso (vedi l' enciclica " Laudato sì" di Papa Francesco, che molti amministratori dovrebbero leggere). Ecco perché una soluzione ad un problema complesso con comode decisioni demagogiche (non risolve i problemi di convivenza) ed un po' arroganti (disattesi i pareri tecnici), appare, anche per l' arretratezza culturale del metodo, una sconfitta della politica e non il contrario.
Il coinvolgimento di tutti i portatori di interesse con una misurazione dell' efficacia e dell' accettabilità delle misure adottate, sarebbe stata, a mio avviso, più intelligente di una disdicevole soluzione calata dall' alto che appare come il diritto del più forte contro il più debole. La vittoria di chi vuole (razza umana) mantenere le sue comodità ed i suoi vantaggi economici a discapito di specie inferiori.
In questi tempi in cui il linguaggio di violenza è diffuso, in cui assistiamo al crollo di ogni forma di diritto internazionale, il metodo adottato sorprende fino ad un certo punto.
Ho letto ieri, sulle pagine di un quotidiano nazionale, che gli Yanomani, una popolazione indigena della foresta brasiliana, non utilizzano la parola "ambiente".
Nella loro lingua non esiste perché non c'è separazione tra loro e l'ambiente circostante.
Sostengono che "ambiente" è una parola dei bianchi per indicare ciò che resta di quello che hanno distrutto.